À fleur de peau
testi di Angela Ghezzi e Stéphanie Pioda
Istituto Italiano di Cultura | Parigi FRANCIA
23 novembre 2022 - 27 gennaio 2023
A FIOR DI PELLE E ALTRI SOGNI
di Angela Ghezzi
Avere i nervi a fior di pelle: un’espressione usata spesso nella vita quotidiana che solitamente esprime uno stato d’animo inquieto. Ci proietta inizialmente in sensazioni sgradevoli, emozioni quasi intangibili forse non interamente codificate dal nostro cervello ma che ci rendono sensibili, vulnerabili, fino a farci provare delle reazioni fisiche, corporee, percepite a livello epidermico. A fior di pelle... così costruita non è solo una frase comune, un semplice detto, perché al suo interno racchiude un significato forse ben più ampio, sicuramente meno superficiale, meno negativo, se visto da una prospettiva diversa: quella di un artista. I fiori, la pelle, tendono a significare un legame tra la sfera floreale e la dimensione carnale, sublimando la sinestesia dei nostri organi recettori tradotti in questo caso in un immaginario poetico. Qui l’artista, partendo da sensazioni eteree, inizia a delineare i contorni di un disegno che, in un crescendo di esplosività sensoriale, finisce per diventare sempre più tangibile: prende forma, prende vita, diventa arte. La tela si trasforma in uno spazio doppio, sia supporto dell’immagine che superficie assimilata alla pelle, sensuale e viva. Calzano a pennello le parole del pittore Eugène Fromentin per rafforzare questa idea: “La pittura è a fior di tela, la vita è a fior di pelle”.
Samantha Torrisi ci conduce in un universo più intimo e riflessivo. Abbiamo lasciato i piaceri della carne per pensare al posto dell’individuo nel mondo. Le sue tele, meditative e silenziose, ci introducono a una prospettiva positiva e piena di speranza. La nebbia stessa dei suoi dipinti moltiplica, all’interno dei paesaggi, le letture e gli itinerari possibili. Il corpo dell’uomo, immerso in ogni sua opera, può diventare il luogo di un’epifania, grazie al gioioso e genuino contatto con la natura, che apre alla costruzione di nuovi futuri possibili. La logica impone un’altra tappa in questo percorso espositivo con l’opera di Salvatore Alessi che ci spinge a lasciare fiorire dentro di noi il Sacro. Per questo si appropria dei fondi d’oro, che per diversi secoli d’arte europea sono stati l’emblema del divino, incarnazione assoluta della luce e materializzazione di uno spazio al di fuori del tempo umano. Salvatore Alessi è consapevole del caos del nostro tempo e l’intreccio dei suoi corpi raffigurati in un atto estatico, dipinti in un movimento verso l’alto, traducono la sua riflessione e il suo bisogno di un ritorno al Sacro, per ritrovare i valori smarriti.
di Stéphanie Pioda
Il mondo ci sfugge. Qualsiasi punto di vista si adotti, la
situazione è ovvia: la macchina è impazzita, il pianeta soffre,
il clima è fuori controllo. Il mondo è stravolto e i leader
economici e politici rimangono sordi o irragionevoli di fronte
a questo problema. Le loro azioni mirano solo a incrementare
i profitti di poche aziende del CAC 40, senza proiettarsi oltre
il breve termine, mentre servono menti visionarie guidate da
un ideale, pronte a lavorare per costruire un futuro sinonimo
di ottimismo. Lo stato del pianeta è diventato un argomento
chiave nel lavoro di molti artisti e questo tema innerva
molte mostre o biennali: fragilità e vulnerabilità, due termini
applicabili alla natura, all’individuo, alla società, al gruppo, alla
bellezza, al corpo.
Di fronte a questo contesto ansiogeno e a quello
che vorremmo essere solo la trama di un brutto film di
fantascienza, le paure mettono in moto i vecchi riflessi del
ripiego sulla propria identità, e anche del ripiego politico
e sociale. L’individuo non si immedesima più con i valori
umanistici che hanno fatto la grandezza dei periodi di
“progresso” della storia. Pensiamo al Rinascimento, momento
di fermento intellettuale, di creatività e di innovazioni tecniche.
La geografia e i limiti del mondo conosciuto esplodono
grazie alla scoperta di nuovi territori mentre, al contempo,
assistiamo all’emergere del pensiero umanista grazie alla
riscoperta delle scritture e dei canoni artistici greci e romani.
L’arte ha raggiunto un picco a cui gli artisti, d’ora in poi, si
riferiscono costantemente. Risuonano allora forti le parole
del sofista Protagora: “L’uomo è misura di tutte le cose: di
quelle che sono, poiché sono; di quelle che non sono, perché
non sono”. Leonardo da Vinci traduce questa idea nel suo
emblematico disegno “L’uomo vitruviano”, che Le Corbusier
riprenderà alcuni secoli dopo con il suo Modulor, proprio
all’inizio dei Trente Glorieuses. Quest’ultimo crea un punto di
riferimento tenendo conto delle dimensioni del corpo umano
per costruire edifici in cui ognuno si senta in armonia con
lo spazio abitativo. ORLAN a sua volta, qualche anno dopo,
crea partendo dal suo corpo il proprio punto di riferimento –
l’ORLAN-corps – e moltiplica le sue Mesu Rages delle strade
di Roma, del Guggenheim Museum di New York o di altre
istituzioni culturali.
Ma oggi abbiamo cambiato paradigma. Se il corpo non
è più lo standard per misurare il mondo – tenderebbe persino a
smaterializzarsi nel metaverso o nella realtà virtuale – rimane
comunque il nostro punto di riferimento per sperimentare e
sentire il mondo reale. Rimane il nostro punto di ancoraggio,
il nostro punto di contatto. Dopo le pressioni culturali, morali,
religiose e politiche, il corpo subisce quelle dell’incertezza
del futuro. Come proiettarsi? Quali sono le nuove utopie?
Quale ipotesi trionferà? Quella delle Cassandre? Difficile
rispondere a questa domanda. Ma una cosa è certa: attraverso
le loro interpretazioni, gli artisti aprono altre dimensioni e
paradossalmente trascendono il mondo mettendo in luce
diverse sfaccettature della realtà. Le loro tele qui raccolte
sono come un caleidoscopio che insiste sulla complessità
di questo mondo che non può essere ridotto a una lettura
manichea. La risata di Democrito e la visione tragica di
Eraclito sono complementari, così come suonano giustissime
le parole del poeta sufi Gialal al-Din Rumi (1207-1273): “La
verità è uno specchio caduto dalla mano di Dio che si è
frantumato. Ognuno ne raccoglie un frammento e dice che
tutta la verità vi si trova”.
Gli artisti ci regalano frammenti, scorci – siano essi
trompe-l’oeil o premonizioni – per sentire il tempo presente,
per non essere stravolti. Ci ancorano all’emozione, alla
sensazione, per permetterci di avvicinarci a questo mondo in
modo diverso e, soprattutto, danno corpo a immagini interiori
attraverso la forza catartica delle parole come propone
Alessandra Maio, i piaceri della carne con i corpi erotizzati di
Marco Cornini, la messa in discussione esistenziale del posto
dell’uomo nella natura per Samantha Torrisi, la questione
abissale della traccia di un’immagine quando si confronta
con i capricci della memoria nell’opera di Leo Ragno, la follia
del mondo per Daniele Galliano, e la liberazione dei corpi per
Salvatore Alessi, colti nel vortice di un’elevazione spirituale.
Lasciamo la conclusione al regista Andrei Tarkovsky:
“Attraverso l’arte, l’uomo esprime la sua speranza. Tutto ciò
che non esprime questa speranza, che non ha fondamento
spirituale, non ha niente a che vedere con l’arte”.