Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per offrirti servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.

Do il consenso



FPP.
La pittura di Samantha Torrisi

Per leggere le sue specificità individuali, la pittura di Samantha Torrisi va inizialmente inquadrata in un contesto ampio, ed in rapido e profondo mutamento. Giacché da alcuni anni l’arte è tornata a coinvolgere nella propria progettualità la letteratura. Beninteso, la letteratura ha sempre accompagnato il percorso dell’immagine; in particolare, il genere letterario di solito chiamato "critica d’arte" ha accudito l’immagine perfino quando essa ha voluto smettere d’essere immagine ed ha virato verso la teatralità (con la performance e l’ happening), verso il cinema (col film d’artista e poi con la videoarte), verso la filosofia e/o la formalizzazione logico/analitica (col Concettuale).
Tuttavia da alcuni anni molti giovani artisti ritengono possibile ed anzi doveroso riprendere un discorso che i loro predecessori avevano ritenuto esaurito, ed attuano uno scandaglio delle possibilità narrative insite nell’immagine, sia pure a livello talvolta solo germinale ed in ogni modo allusivo. Tale ripresa del racconto si concretizza poi per il tramite di due ben diverse modalità tecniche: da una parte mediante le forme aspre della fotografia, riproposta come immediato lacerto d’esistenza, oppure più o meno drasticamente svisata, infine spesso elaborata manualmente e/o digitalmente; dall’altra attraverso la ripresa dell’antica e per qualche tempo quasi abbandonata pratica della pittura.
In quest’ultimo caso, di frequente quel Trieb letterario viene mediato ed allo stesso tempo estremizzato e corretto da una particolarissima forma letteraria, in se stessa così mescolata ed implosiva da non essere quasi mai, ancora, riconosciuta come tale. Parlo, per intenderci, d’un universo visivo/narrativo, prevalentemente rivolto ad un referente assai giovane, ancora privo di una definizione univoca. Si tratta d’una costellazione che contiene al proprio interno sia istanze pesantemente condizionate dall’industria dell’entertainment, sia produzioni autogestite e tipiche del fandom (nonché tutti i livelli intermedi fra questi due estremi). L’elemento più tipico è il variegato pullulare di libera fantasia nonché di ferrei stereotipi presente nelle avventure e nei GDR, RPG, FPS, ecc. realizzati per PC, PS2, DC e X-BOX. (Utilizzo intenzionalmente le sigle, volendo sottolineare il fatto che per discutere di questa produzione ci sia bisogno di un’informazione specifica che il pubblico non specialista non possiede affatto, ed anzi nemmeno sospetta). Va però detto che quella costellazione fa riferimento anche ad un cospicuo numero di altre produzioni, fra fumetto, film, narrativa propriamente detta: tutte formalizzazioni caratterizzate dall’uso di specifici gerghi, spesso riferiti a precise "tribù metropolitane", e perfino di idioletti. Senza insistere in un’analisi che richiederebbe spazi ed occasioni ben diversi da questi, si può sintetizzare il discorso notando che si tratta appunto d’un vero universo linguistico (e metalinguistico), e cioè d’una forma strutturata e specifica di mediazione col reale, dotata di articolazioni sufficienti a sostenere la varietà e l’irripetibilità delle interpretazioni individuali.
A questo orizzonte espressivo e comunicativo fa esplicito riferimento la pittura di Torrisi. Certo, come sempre accade nel caso della produzione artistica degli under 30, va tenuto conto del possibile iato fra le intenzioni poetiche e la concreta leggibilità dispiegata in quanto realizzato: si tratta pur sempre di un’operatività in progress, e talvolta anche in maturazione. In ogni modo, c’è da rimarcare innanzitutto un tratto insieme stilistico ed allegorico: i dipinti di Torrisi suggeriscono sempre la "soggettiva", lo sguardo ravvicinato di chi osserva ciò che vive in presa diretta. La soggettiva è una tecnica tipica degli FPS, first player shooting, film interattivi per computer (di solito li chiamano videogiochi) nei quali la simulazione visiva suggerisce che chi corre o spara non sia il personaggio, bensì il "giocatore", ovvero l’effettivo protagonista del film virtuale. La soggettiva appare l’immediato strumento allegorico d’una identificazione tanto più impossibile quanto più apparentemente a portata di mano (o di tastiera, o di pennello), e quindi d’un perenne traslato. Riferendosi ad essa, Torrisi intende lanciare l’osservatore nel vortice d’una storia che si dipana con crudezza e disincanto, e che sembra stare lì, disponibile ad essere vissuta e compresa, e simultaneamente non c’è, sfumata nell’impassibilità e nel disincanto postcontemporanei.
Frammenti di vite urbane disseminate sull’impenetrabile coltre della velocità e dell’indifferenza abitudinarie vengono così raffigurati con durezza e commozione, anzi scaraventati addosso all’osservatore, o meglio addossati alla sua soggettività che la soggettiva per una frazione di secondo potrebbe aver lasciato scoperta, priva di schermo (perché identificata con lo schermo), senza difese. Tuttavia questi meandri di metrò, questi dungeon illuminati dal neon e dalla stanchezza di vivere non sono raffigurati con una pittura hard edge, tagliente e spietata, come forse ci si attenderebbe; viceversa, li avvolge una allure ambivalente ed ambigua che mentre li attenua, li addolcisce e li addomestica, simultaneamente li rende più crudeli ed enigmatici. Quei meandri d’altra parte sono luoghi in cui qualcuno vive, sia pure fugacemente, in cui qualcuno perfino transitivamente "abita", portando perciò con sé un residuo di aura, un che d’affettivo, di morbido e gentile.
Ma questo è solo un versante dialettico, giacché la velocità di quest’universo artificiale e macchinico (la pittura di Torrisi è esplicitamente memore d’un che di futurista) riprende ed anzi accelera, e la soggettiva si distoglie dal luogo del pericolo che simultaneamente è l’occasione, l’apertura, la via di fuga.
Un’importanza specifica assume allora il taglio dell’inquadratura, anche perché le figure viventi in questo desolato paesaggio urbano rifiutano qualunque connotazione: appaiono come meri elementi denotativi della scena, in fondo non diversi dalle porte o dai pavimenti. O, forse, diversi solo in quanto maggiormente ectoplasmatici, sfrangiati nel loro stupore metafisico, nella loro soggettiva nientità.
Tutto ciò è letteratura, a suo modo. Anzi: FPP, fìrst player painting. Pittura giocata in prima persona.

GIUSEPPE FRAZZETTO