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Do il consenso

Una sola moltitudine

Piccoli spazi colorati accolgono figure umane sfocate, opalescenti e in movimento.
Sagome scure sfuggono alle pennellate sfumate e, silenziosamente, invadono il riquadro giallo o azzurro entro cui si agitano. Una moltitudine di silhouette indefinite avanza verso l’osservatore, oltrepassandolo metafisicamente, alla ricerca di qualcosa d’indefinito: ordine, coordinate spazio temporali, natura, memoria? Non c’è dato saperlo.
Osservando questa serie di Samantha Torrisi penso alla moltitudine di pensieri ed esperienze che conserviamo nella mente e che, meticolosamente e con spontaneità, cataloghiamo costantemente in compartimenti-cassetti che compongono la nostra esistenza.
“Una sola moltitudine” è una coppia ossimorica, assunta come titolo di questo progetto che riassume le contraddizioni e le complementarietà dell’esperienza di vita dell’uomo: individuale e sociale, unica e molteplice. La complessità della collettività si stratifica e si lega all’unicità dell’io, generando una narrazione corale che Torrisi sviluppa mediante piccoli (ma intensissimi) assoli visivi che diventano metafora della memoria. Il nostro pensare si avvale di piccole camere colorate dove vi sono persone, oggetti, parole. Siamo noi, gli unici e soli custodi di quei tasselli e possiamo ripercorrerli uno ad uno, colore per colore.
“Mai ero meno solo di quando ero solo” afferma Catone dando origine a una riflessione più ampia che permette di distinguere la solitudine dall’estraniazione. L’estraniazione non è solitaria poiché si realizza solo in compagnia di altri. Questa distinzione fa al caso nostro, permettendoci di puntualizzare ma allo stesso tempo contraddire il nodo fondante dell’opera di Samantha Torrisi.
In questo caso l’artista dimostra col suo linguaggio che il pensiero è vivo nella mente umana ma solo nell’estraniazione (condivisa) esso si realizza e quasi si materializza contraddicendo e a sua volta rafforzando ciò che afferma Nietzsche “il pensiero, ovvero il peso più grande, si rivela solo nella più solitaria delle solitudini”.


GIUSEPPE MENDOLIA CALELLA